L’intervento militare di europei e Stati uniti, con la significativa partecipazione dei regimi arabi “moderati” del Golfo, ha creato una forte confusione nelle file della sinistra e del mondo pacifista.
Certamente si tratta di una missione militare differente da quelle degli anni ‘90/2000, ma nemmeno poi molto. È infatti banale, perché non riesce a spiegare quanto succede, la definizione di “guerra per il petrolio”. In questo senso ha ragione Rossanda quando scrive che “Gheddafi [lo] vendeva senza problemi”. Ma anche nel caso iracheno la posta in gioca era molto maggiore che non la conquista del petrolio iracheno (che pure Saddam vendeva senza problemi, prima dell’embargo che ha reso l’Arabia saudita ancora più centrale nella regione).
Sbaglia invece la stessa Rossanda quando dice di non ritenere questa una “spedizione imperialista”. Al contrario, le modalità e le motivazioni di questa guerra mostrano il suo carattere imperiale. E le motivazioni sono intimamente collegate all’esplosione delle rivoluzioni arabe di questi mesi.
L’intervento militare è la risposta a quelle rivoluzioni e al possibile “vuoto” che possono creare in tutta l’area se riescono a portare fino in fondo la rottura con le politiche che i regimi oggi in difficoltà hanno portato avanti in questi anni.
Anche in Libia era cominciato un processo rivoluzionario, che non è riuscito ad arrivare alla rottura del regime sia per la debolezza delle forze di opposizione sia per la feroce repressione del regime di Gheddafi. Le potenze occidentali hanno aspettato a intervenire fino a quando la situazione rischiava di sfuggire loro di mano, con le forze rivoluzionarie troppo deboli per sconfiggere militarmente il regime e l’autorità di Gheddafi oramai non più in grado di garantire quella stabilità necessaria alle stesse potenze occidentali (soprattutto europee).
Gheddafi in questi anni è stato necessario sia perché garantiva capitali freschi alle economie europee (e Usa), sia perché rappresentava un interessante cliente delle merci europee (Italia e Francia in testa, con le loro armi in particolare) e soprattutto perché applicava con solerzia il compito di fermare le/i migranti indesiderati in Europa (e il modo in cui lo faceva non è mai interessato ai “liberatori” di oggi).
L’intervento di oggi è propriamente imperialista perché diretto a condizionare e dirigere il processo di trasformazione in Libia e in tutta la regione, ribadendo le politiche di sfruttamento e di repressione delle migrazioni.
Era comprensibile – e non ci sentiamo di condannarla - la richiesta di aiuto di Bengasi alle sole forze che potessero fornirlo (quelle della nato, da anni presenti nel Mediterraneo con la partnership dei regimi nordafricani – e di Israele) data anche la debolezza del movimento operaio e della solidarietà in Europa. Questo non può però nascondere il fatto che tra le forze rivoluzionarie (delle quali “i giovani per il cambiamento” rappresentano sicuramente l’aspetto più genuino e radicale) sembrano oggi prevalere i settori filo-Usa e che il riconoscimento immediato del Cnt da parte di Francia e Italia e gli accordi politico-commerciali con il Qatar non saranno senza conseguenze.
Il problema è ancora una volta quello di una sinistra anticapitalista europea incapace di organizzarsi e di organizzare seriamente il suo internazionalismo – non nei termini di “solidarietà”, ma di iniziativa comune contro la dittatura politica (al sud), militare (di una Nato gendarme del Mediterraneo) ed economica (di una capitalismo in crisi e per questo ancora più feroce).
Oggi serve una più forte mobilitazione contro l’intervento militare in Libia – rilanciando le piazze del 2 aprile, che pure con mille difficoltà hanno visto qualche migliaia di donne e uomini manifestare; serve un’iniziativa diretta contro le politiche di esclusione e di muro di fronte alle migrazioni(che hanno prodotto migliaia di morti nel Mediterraneo); e servono comitati di sostegno alle rivoluzioni arabe, che diano loro una sponda diversa e alternativa da quella della Nato e dei governi che sono da sempre i migliori alleati dei regimi che stanno combattendo.
Una mobilitazione contro la guerra che non riconosca di dover stare “dalla parte delle rivoluzioni” non è sufficiente e non sarà in grado di cogliere il senso di quanto avviene.
Piero Maestri – portavoce Sinistra Critica