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La
sospensione della democrazia che negli ultimi mesi si è affermata in diversi
paesi dell’Europa si è arricchita di un “nuovo” strumento: l’assedio
preventivo.
Francoforte
nei giorni scorsi era una città sottoposta a tale modello repressivo: prima i
divieti verso qualsiasi manifestazione di protesta contro la BCE e le sue politiche (a
parte il corteo autorizzato per il sabato 19 maggio); poi la repressione
“gentile” ma ferma e scientifica delle manifestazioni contro gli stessi
divieti; quindi la pressione nei confronti delle azioni del venerdì, i fermi, i
“fogli di via, la presenza di migliaia di agenti per le strade di Francoforte.
Giovedì 17,
mentre oltre 500 manifestanti venivano bloccati per tutto il pomeriggio all’interno
di Paulsplatz (piazza dove si trova il municipio), più di un centinaio di
attiviste/i di diversi paesi – soprattutto italiani e tedeschi – venivano
fermati appena usciti dall’università per cercare di raggiungere gli altri
manifestanti, con l’accusa di “partecipazione a manifestazione illegale” e condotti alla caserma di polizia,
trattenute per diverse ore e
quindi rilasciate/i con un “bando” all’ingresso in una specie di “zona rossa” che comprendeva una larga parte della città (evidentemente compresi tutti i palazzi del potere finanziario) fino alle 7 del sabato successivo.
quindi rilasciate/i con un “bando” all’ingresso in una specie di “zona rossa” che comprendeva una larga parte della città (evidentemente compresi tutti i palazzi del potere finanziario) fino alle 7 del sabato successivo.
Una
versione tedesca dello “stato di diritto”: è permesso solo quello che non è
vietato dalle autorità di polizia, che decidono quale espressione del dissenso
sia da considerarsi legittima e quale no. Senza possibilità di protestare
contro queste decisioni.
Obiettivo
di questa repressione era quello di rendere più difficili le iniziative di
“Blockupy Frankfurt” del venerdì, cercando di impedire qualsiasi azione diretta
contro i palazzi del potere economico e finanziario europeo e tedesco.
Un’operazione
che non è riuscita. Anche se le/i attiviste/i “bandite” non hanno partecipato
ai previsti blocchi del venerdì, decine di azioni e presidi hanno comunque
tenuto in scacco la polizia per tutta la giornata del venerdì.
Almeno un
paio di migliaia di attiviste(i hanno continuato per tutto il giorno a bloccare
strade, ponti, piazze, costringendo la polizia a inseguire queste azioni – che
hanno di fatto bloccato il centro cittadino, con molte sedi finanziarie che
sono rimaste chiuse per “sicurezza”.
Non sono
stati i blocchi previsti, ma la determinazione pacifica del “Blockupy” ha
portato la protesta nelle strade del centro. Una giornata positiva, quindi,
malgrado la pressione della polizia e le difficoltà di comunicazione e
organizzazione dovute alla necessaria “improvvisazione” dopo che il programma
previsto (dei dibattiti come delle azioni) era completamente saltato.
La
manifestazione di sabato 19/5 è stata ancora più un successo: oltre 25 mila
persone hanno manifestato in un corteo che ha circondato e poi attraversato il
centro finanziario, per finire nella piazza dove si trova la sede della BCE.
Una
bellissima manifestazione con tre spezzoni evidenti e significativi.
Una prima
presenza di delegazioni internazionali e delle associazioni e reti che in
questi anni hanno mantenuto forte l’iniziativa contro la mondializzazione
liberista. In questa parte del corteo spiccava la massiccia presenza di Attac e
di altri comitati contro le politiche di austerità e il debito, come il Cadtm.
Una seconda
parte del corteo vedeva la forte presenza di Die Linke (il partito che si
colloca alla sinistra della socialdemocrazia tedesca), di settori sindacali (in
particolare del sindacato Ver.Di) e di altre sigle della sinistra tedesca.
Un terzo
settore, che contava diverse migliaia di partecipanti, si definiva
significativamente anticapitalista o della rivoluzione sociale. Uno spezzone
aperto dallo striscione “Rise Up!” dell’organizzazione tedesca (soprattutto
berlinese) della Interventionistische Linke, che ha avuto un ruolo importante
nell’organizzazione delle giornate di “Blockupy Frankfurt”. In questa parte
hanno sfilato gli italiani di UniCommon e Global Project, così come le/i
compagne”i di Atenei in Rivolta e della campagna “Rivolta il debito”, insieme
anche a diverse/i militanti di Sinistra Critica (che a quella campagna
partecipa attivamente).
Questa zona
del corteo – insieme alla presenza delle reti come Attac – ha sicuramente
rappresentato la parte più determinata e significativa delle giornate
francofortesi, magari non in termini di numeri nel corteo, ma perché ha saputo
riunire settori giovanili radicali e consapevoli della lotta anticapitalista.
In realtà
la consapevolezza anticapitalista attraversava tutto il corteo e riempiva
slogan, adesivi, volantini. E questo è davvero importante.
Alcune
brevi riflessioni quasi a caldo.
Perché
questa repressione così forte, per quanto condotta con metodi che non hanno mai
fatto nemmeno pensare potesse riproporsi una situazione “genovese”?
L’obiettivo
naturalmente era quello di impedire i possibili blocchi – ma era chiaro che i
timori non riguardavano la “sicurezza” e nemmeno la regolare funzionalità delle
sedi finanziarie (anche perché giovedì era un giorno festivo in Germania e
venerdì il centro è stato comunque messo “sottosopra” dalle azioni di
Blockupy).
Il timore
principale era allo stesso simbolico – difendere le sedi del potere finanziario
da un possibile assedio attraverso l’assedio preventivo – e politico: impedire
una possibile saldatura tra i movimenti di protesta europei, dal 12M spagnolo
ai diversi Occupy, dalle resistenze sociali e territoriali (non mancavano le
bandiere NoTav…), alle lotte di lavoratrici e lavoratori contro le politiche di
austerità.
Un
messaggio politico con gli strumenti della polizia tedesca: sono ammesse le
proteste dentro i confini stabiliti dal potere. Tutto le altre forme della
protesta vengono contrastate con ogni mezzo.
Una seconda
considerazione riguarda la presenza politica a Francoforte.
Le giornate
di Blockupy Frankfurt erano considerate da molte reti e organizzazioni in tutta
Europa come momento importante, se non addirittura centrale, delle
mobilitazioni continentali.
La
mobilitazione è stata importante e ha avuto risultati significativi, ma era
sicuramente al di sotto delle possibilità e delle necessità. Da una parte la
sinistra tedesca ha avuto una presenza forte solamente al corteo di sabato, con
una sottovalutazione delle giornate di giovedì e venerdì (quando solo la parte
più militante ha partecipato alle azioni, senza una significativa presenza
delle organizzazioni sindacali e politiche – a parte quelle della sinistra
radicale). Queste assenze hanno reso meno forte l’impatto delle azioni e più
facile l’azione delle forze di polizia.
Questa
sottovalutazione è stata condivisa dalle forze della sinistra europea e anche
da molte reti che si considerano parte significativa del movimento contro la
mondializzazione. Scontata e giustificata l’assenza di una partecipazione di massa
da paesi come Spagna e Grecia (dalla prima per le forti mobilitazioni dei
giorni precedenti, e ancora in corso; dalla seconda per la delicata situazione
post-elettorale), non sono molti i paesi che hanno contribuito alla riuscita
delle giornate di Francoforte – e in questi paesi solo i settori più radicali
hanno mantenuto l’impegno a una presenza forte. In particolare dall’Italia
quasi solamente le aree di Global Project da una parte e di Atenei in
Rivolta/Rivolta il debito dall’altra hanno dato un contributo significativo
alle mobilitazioni. Altri soggetti – sia politici, come la Federazione della
sinistra, sia di sindacati di base e associazionismo radicale - sono stati
completamente assenti. Peccato.
La terza
considerazione parte da qui. Francoforte non è stato semplicemente lo spazio
della protesta. Ma anche quello del rilancio di reti europee che provino a
superare il modello, decisamente in crisi, dei social forum europei riprovando
a partire dalle lotte e dai movimenti sociali, rimettendo al centro la critica
al capitalismo (in forma già totalmente consapevole e organizzata, così come in
quella più “istintiva” del “99%” che si indigna e protesta) e il rifiuto deciso
e dichiarato del pagamento del debito e delle politiche di austerità.
Le parole
d’ordine non erano certamente “ora la crescita”, come vorrebbero le
socialdemocrazie europee e i loro confusi alleati, ma ben più radicali.
Noi
vogliamo partire da qui, investire sulla costruzione di uno spazio
anticapitalista europeo (e non solo), partecipare e contribuire alla creazione
e al consolidamento di reti transnazionali capaci di darsi linguaggi,
contenuti, obiettivi e appuntamenti comuni.
Un impegno
allo stesso tempo orientato all’interno del nostro paese, per costruire ed
allargare un movimento contro la crisi e il debito largo e allo stesso tempo
uno spazio anticapitalista nuovo, e capace di investire nelle reti
internazionali, costruendo una conoscenza e relazioni più strette con i settori
radicali e anticapitalisti che mettono al centro la necessità di una rinnovata
lotta di classe.
Per questo,
in fondo, l’assedio preventivo non ha funzionato.