giovedì 1 gennaio 2009

PROPOSTA DI DELIBERA "ROM E SINTI"

PROPOSTA DI DELIBERA DI INIZIATIVA CONSILIARE
LINEE DI INDIRIZZO DEL CONSIGLIO PROVINCIALE DI MILANO
IN MATERIA DI POLITICHE PER L’INTEGRAZIONE SOCIALE
DELLE POPOLAZIONI “ROM E SINTI”
Presentata nel giugno 2008 dal gruppo di Sinistra Critica(mai arrivata alla discussione del Consiglio…)

Articolo 13
1) Ogni individuo ha diritto alla libertà di movimento e di residenza entro i confini di ogni Stato.

2) Ogni individuo ha diritto di lasciare qualsiasi paese, incluso il proprio, e di ritornare nel proprio paese.

(Dichiarazione universale dei diritti umani)


PREMESSA
In queste “linee di indirizzo” viene utilizzato il termine “Rom e Sinti” per designare quelle popolazioni generalmente chiamate – in maniera non corretta – “nomadi” o, peggio ancora “zingari”. In realtà si tratta, come qualcuno l’ha definita, di una “galassia di minoranze”, di donne e uomini provenienti da diversi contesti nazionali e sociali e che riproducono una grande varietà sociale e culturale.

LA SITUAZIONE ATTUALE
In Italia si calcola siano presenti intorno ai 140.000/180.000 Rom e Sinti. La metà di loro è di nazionalità italiana. Questo già dovrebbe indurre ad evitare un parallelo troppo rigido tra politiche per i Rom e Sinti e politiche per l’immigrazione – perché il campo è allo stesso tempo più ampio e più limitato.
Certamente, oltre ad una presenza che risale a decenni per una parte di queste popolazioni provenienti da altri paesi e al fenomeno della fuga dai paesi della ex-Jugoslavia in guerra durante gli anni ’90, negli ultimi anni si è assistito a nuovi arrivi di Rom e Sinti non italiani, in particolare provenienti dai paesi dell’est europeo ora integrati nell’Unione Europea, specie dalla Romania. Anche per questi sarebbe comunque limitativo considerarli “semplicemente” come immigrati.

È comunque evidente che questi nuovi arrivi sono la conseguenza di grandi tendenze migratorie che interessano tutto il pianeta, dovute ad un intreccio inestricabile tra il richiamo dei paesi più ricchi (di cui evidentemente l’Italia fa parte) e la partenza da situazioni economiche difficili. Questo vale anche all’interno dell’Unione Europea: è infatti ovvio che l’integrazione dei paesi dell’est europeo non è stata motivata dalla volontà di creare una “cittadinanza europea” ma dalle necessità del capitale e degli interessi economici di consolidare uno spazio di libera circolazione del capitale e delle merci, nonché delle imprese e degli imprenditori. È sufficiente qui ricordare la cosiddetta “Direttiva Bolkestein” sulla liberalizzazione dei servizi del mercato interno.
Questo ha provocato nuovi flussi di lavoratrici e lavoratori: come diceva un saggio “volevamo braccia, sono arrivati uomini”, ma questo sembra ancora non essere compreso da molti.
Il risultato è comunque quello dell’aumento del movimento di donne e uomini, dall’esterno e all’interno dell’Unione Europea, sia per scelta che per “costrizione” economico-sociale (e politica, vista le persistenti violazioni dei diritti umani anche in Europa).
Le popolazioni Rom e Sinti di nuova immigrazione – appartenente ad una minoranza fortemente discriminata in Europa - fanno parte di questi flussi.

Non c’è un dato preciso di quanti siano in Italia e in Lombardia le donne e gli uomini Rom e Sinti – e probabilmente non è questo il problema principale, non essendo possibile una “programmazione” dei flussi, soprattutto in ambito europeo, e perché le politiche sociali possono esplicarsi senza necessariamente basarsi su rigidi censimenti statistici. In ogni caso le ricerche più recenti parlano di 150.000 circa in Italia; 13/14 mila in Lombardia; 9/10 mila in provincia di Milano.
Il problema principale e più evidente è quello relativo alla condizione abitativa: se esistono Rom e Sinti che vivono in case monofamiliari, la maggior parte si divide tra insediamenti collettivi (“campi”) sia autorizzati che abusivi o in insediamenti sorti su terreni presi in affitto o comperati.
Le politiche delle amministrazioni locali hanno in questi anni privilegiato, se non utilizzato esclusivamente, il modello del “campo”, spesso motivandolo come “espressione culturale” degli stessi Rom e Sinti, loro scelta e predilezione. Come si legge nella Ricerca sugli insediamenti rom e sinti in Lombardia (2007) dell’Ismu “’I campi nomadi occupano un ruolo centrale nella gestione del problema. In quanto luoghi di controllo sociale, ma anche di smistamento della carità istituzionale e non, essi mantengono e salvaguardano i confini, evitano l’incontro, tengono gli zingari in un nessun luogo che in ultima analisi consente il mantenimento dello status quo’ (Sigona). I campi, oltre a controllare e a mantenere ai margini i cosiddetti nomadi, rappresentano uno strumento di assimilazione, che tende a “normalizzare” le popolazioni previamente definite come itineranti, costringendole in condizioni di precarietà e di degrado, a causa del crescente affollamento, della carente manutenzione, dei difficili rapporti con le società locali.
Accanto a essi, si sono sviluppate, spesso spontaneamente, altre soluzioni abitative, in genere all’insegno della provvisorietà o anche dell’abusivismo: parcheggio di roulottes in terreni di proprietà, costruzioni spontanee, insedia-menti non autorizzati su aree pubbliche, ecc. Anche quando queste pratiche riescono a evolvere verso costruzioni stabili e dignitose, devono fare i conti con il problema delle licenze edilizie e con quello dell’ostilità dei vicini, ben-ché si tratti di zone agricole distanti da altre abitazioni. Le condizioni insedia-tive, con le loro prevalenti caratteristiche di precarietà, determinano in ogni caso in modo decisivo le opportunità di vita in generale e la possibilità di per-corsi lavorativi, di tutela della salute, di inserimento scolastico, di accesso ai servizi”.

Conseguentemente a questo, come si legge nella stessa ricerca, assistiamo ad un “rapporto apparentemente distorto con il sistema del welfare e dei diritti sociali. Per esempio, accade che la scolarizzazione dei figli non sia avvertita come un valore in sé, ma che possa essere apprezzata come una risorsa da scambiare per conseguire un vantaggio per l’intera famiglia… Anche la cura della salute, compresa quella delle madri incinte e dei neonati, se comporta dei costi, è mal compresa, trascurata, spesso percepita come una spesa di cui fare a meno o da cui stare distanti per motivi scaramantici. Questi atteggiamenti rimandano altresì a una radicata diffidenza nei confronti della società maggioritaria, speculare al pregiudizio delle popolazioni stanziali nei confronti dei veri o presunti “nomadi”: “gli zingari si rivolgono ai gagé se hanno domande e bisogni precisi, ma senza avere mai una completa fiducia del non zingaro” (Santoro)”.

Infine, anche se si dovrebbero affrontare altri campi - come quello della socialità, della partecipazione politica, del rispetto delle espressioni culturali – è evidentemente complicata la situazione lavorativa. Prendendo ancora in prestito la ricerca coordinata dall’Ismu si può segnale che “Più che di distanza volontaria dal lavoro e di propensione “naturale” verso le attività illegali, sarebbe più appropriato dunque parlare di una difficile riconversione e di un adattamento problematico ai ritmi e alle regole della società industriale e post-industriale.
In questa cornice strutturale, si inseriscono poi almeno due fattori di diffi-coltà più specifici: la mancanza di documenti che autorizzino soggiorno e la-voro, per i rom arrivati di recente dall’area balcanica, e il pregiudizio che le società sedentarie nutrono nei confronti dei cosiddetti “nomadi”. Come riferisce lo studio di caso di via Novara, anche datori di lavoro bisognosi di mano-dopera, quando vedono che i candidati provengono da un “campo nomadi”, ritirano precipitosamente l’offerta. Lo stesso studio sottolinea che i medesimi protagonisti evitano di definirsi come rom…. Nonostante questo quadro avverso, molti rom in vario modo lavorano o cercano lavoro…. Nel campo di via Novara, 25 maschi adulti su 60 lavorano, anche se perlopiù in forme precarie, presso cooperative o agenzie che li chiamano a seconda delle esigenze. Altri lavorano in modo irregolare o in forme autonome. Tra i giovani, incontra una buona ricezione la proposta delle borse-lavoro, e si fa strada l’idea del lavoro dipendente. Da qualche tempo, anche alcune donne hanno iniziato a lavorare: chi come accompagnatrice sul servizio di trasporto per gli alunni milanesi, chi come addetta alle pulizie nelle parti comuni di condomini o di alberghi…”.

Questa breve e parziale descrizione della situazione sociale delle popolazione Rom e Sinti, valida per lo specifico della provincia di Milano, ci serve per arrivare ad una conclusione fondamentale per cominciare ad affrontare il nodo delle politiche “per Rom e Sinti”. Non esiste una generalizzazione possibile ne una politica valida in ogni luogo e in ogni situazione; tantomeno – come spesso sono portate a credere le amministrazioni pubbliche – si può parlare di un fenomeno “intrattabile” e quindi da sottoporre solamente a politiche di controllo e “normalizzazione”. Al contrario Rom e Sinti, oltre a essere soggetti esposti ad una crescente povertà e a condizioni di vita intollerabili per la nostra società, esprimono una soggettività e una capacità di mettere in gioco risorse che è fondamentale attivare affinché le politiche sociali nei loro confronti non siano destinate all’inefficacia e al fallimento.

POLITICHE LOCALI E ROM
Guardando alle principali ricerche condotte sulle politiche in Italia in confronti delle popolazioni Rom e Sinti, dei governi nazionali e soprattutto delle amministrazioni locali, praticamente tutte arrivano alla conclusione di una sostanziale inefficacia e molte sottolineano i risultati negativi in termini di creazione del “problema Rom” e di un approfondimento dell’esclusione sociale e della mancata integrazione proprio a causa di queste politiche.
La maggior parte delle amministrazioni locali ha messo in campo negli anni politiche differenziali, basate su principi emergenziali e discriminatori e sull’idea della intrattabilità politica e amministrativa della questione, naturalmente a causa delle caratteristiche soggettive degli stessi Rom e Sinti.
Secondo le stesse organizzazioni internazionali di tutela dei diritti umani, sono molte le discriminazioni che questi subiscono anche in Italia: in particolare discriminazioni nell’abitazione e nell’accesso al lavoro; violenze e intimidazioni di gruppi o individui; comportamento “non professionale” da parte della polizia; un apparato della giustizia spesso poco pronto a intervenire di fronte a vio-lazioni dei diritti umani dei rom; e così via.

È la premessa stessa che porta a queste discriminazioni. Come si può leggere nell’ultimo rapporto dell’Ismu “una volta che questi gruppi sono stati definiti come pericolosi, non si trovano più residenti disposti ad averli come vicini di casa, neppure ai margini del quartiere, e gli insediamenti collettivi diventano ancora più
segregati e difficili da realizzare, lasciando di fatto altro spazio agli insediamenti abusivi. Le ripetute demolizioni di questi ultimi compromettono inoltre i tentativi di integrazione e di tutela sociale, anche sotto il profi lo dei diritti umani basilari, aggravando la marginalità delle persone e dei gruppi sociali che li subiscono. La spirale dell’esclusione rischia di diventare inarrestabile”.
Si produce nei confronti di Rom e Sinti un processo di “stigmatizzazione” politica e sociale che rende – oltre che impopolare – difficile progettare e persino discutere politiche di sostegno a Rom e Sinti stessi.

In questo senso, come scrivevamo più sopra, la prova più evidente del fallimento delle politiche in materia è quella della costituzione dei “campi nomadi”, che costringono Rom e Sinti in condizioni di abitazione intollerabili e “innaturali”. Le stesse amministrazioni hanno tollerato, e a volte programmato, situazioni di abitabilità che non sarebbero risultate accettabili per altre persone, ma che potevano invece valere per Rom e Sinti, in quanto “predisposti” ad accettarle e comunque sarebbe stato “impossibile” in maniera pubblica trovare altre soluzioni.
Oggi l’intollerabilità dei campi – legali e abusivi - è chiara a chiunque. Purtroppo la responsabilità di questa intollerabilità è scaricata sugli stessi Rom e Sinti e il “superamento dei campi” significa troppo spesso la loro chiusura senza soluzioni e politiche alternative.

LINEE GENERALI DI INDIRIZZO POLITICO
Di fronte a quanto, brevemente e in maniera parziale, descritto, risulta evidente che non si possa pensare ad un “modello” e nemmeno ad un complesso di politiche di sostegno alle popolazioni Rom e Sinti che da una parte non sia integrato e portato avanti da una rete di soggetti e dall’altra non sia pensato all’interno delle più complessive politiche sociali e di contrasto alle povertà, vecchie e nuove.

1. le politiche di sostegno e integrazione delle popolazioni Rom e Sinti devono essere pensate come una parte, ineludibile, delle politiche sociali dell’amministrazione provinciale (e delle altre istituzioni pubbliche) e finalizzate ad un’integrazione “positiva” – non quindi ad una sorta di “assimilazione” ma di convivenza reciprocamente soddisfacente tra popolazioni diverse. Infatti, nei paesi nei quali esistono organiche politiche di sostegno verso individui e famiglie in condizione di povertà (salario minimo di cittadinanza, sussidi di disoccupazione ecc.), il caso delle minoranze Rom e Sinti riduce il suo carico di “eccezionalità” e diventa “solamente” il caso particolare di un contesto più ampio, nel quale perdono di importanza le “misure particolari”;

2. questo complesso di politiche – perché sia efficace – ha bisogno di essere messo in pratica da una rete di soggetti, pubblici, del privato sociale e del mondo dell’economia. Questo evitando quelle che sono state definite correttamente “deleghe improprie”, per cui si scaricherebbe sul privato sociale quanto l’ente pubblico non vuole fare (o vuole tenere “sottotraccia”).
Un approccio a rete presuppone la disponibilità ad una programmazione condivisa, la necessità di un’efficace e efficiente divisione dei compiti, la capacità di lavoro comune e di uscita dall’emergenza;

3. perché le politiche non siano destinate al fallimento è di particolare importanza coinvolgere Rom e Sinti nella progettazione e nella costruzione delle stesse. Rom e Sinti non possono cioè essere gli “oggetti” di politiche assistenziali, più o meno positive, ma interlocutori e soggetti delle politiche e del loro percorso di integrazione sociale e convivenza.

Per quanto riguarda i campi principali nei quali programmare e mettere in campo politiche positive, l’indirizzo del Consiglio Provinciale riguarda:

• in primo luogo il tema dell’abitare, attraverso il sostegno al diritto e alla capacità dell’abitare stesso. Uscire dalla logica dei campi non deve indurre all’identificazione di un altro “modello” (perché a nessuno può essere assegnata una “formula” specifica dell’abitare) ma alla sperimentazione di diverse soluzioni, che non costituiscano un “circuito separato” (e marginale) ma possano soddisfare allo stesso tempo le diverse esigenze delle popolazioni Rom e Sinti – costituendo una libertà di scelta anche introducendo principi di autonomia e di responsabilità degli abitanti nella produzione e nella gestione delle strutture - e la necessità di evitare insediamenti non integrabili nel contesto sociale e territoriale esistente. Se non si affronta in maniera adeguata il tema dell’abitare è evidente che anche le altre politiche risulteranno fallimentari;

• di fondamentale importanza l’investimento sulla scolarizzazione e la permanenza nelle scuole, a partire da quelle dell’obbligo, delle bambine e dei bambini Rom e Sinti. Esistono al riguardo esperienze importanti e positive, anche nella provincia di Milano, che devono essere diffuse. Per questo deve essere resa possibile la stabilità dei percorsi formativi e devono essere coinvolte e rese responsabili le famiglie Rom e Sinti. Le amministrazioni locali possono giocare un ruolo importante in questi percorsi e nella loro stabilizzazione, fornendo un supporto alla mediazione culturale (con i bambini e con le loro famiglie) e alla frequenza costante (trasporto, sostegno scolastico ecc.);

• per garantire inclusione sociale è ovviamente determinante anche il tema dell’accesso al lavoro e alla formazione professionale. Per questo sono importanti strutture e progetti di accompagnamento ai servizi per l’impiego e alle molte esperienze esistenti (borse-lavoro, tirocini, sostegno alle cooperative ecc.). Particolarmente importante sostenere attività lavorative che portino Rom e Sinti a uscire dai “campi” e sostenere percorsi di emersione dal lavoro nero e di tutela delle garanzie contrattuali;

• infine, ma non di minore importanza, è necessario un forte investimento sulla socialità e sul superamento di quanto è stato definito “rifiuto del contatto” o “simmetria dei pregiudizi”. Senza banalizzazioni folkloristiche, va dato spazio all’incontro culturale nei quartieri, in particolare tra le generazioni più giovani. È necessaria una forte attività di informazione e di formazione alla convivenza, coinvolgendo sia i gruppi Rom e Sinti che le risorse esistenti sul territorio (associazioni culturali e di volontariato, parrocchie, consigli di quartiere ecc.). In questo quadro deve essere fatto ogni sforzo per combattere ogni fenomeno di discriminazione e razzismo – anche istituzionale – con un’attenta opera di vigilanza e di lavoro culturale.

L’IMPEGNO DELLA PROVINCIA DI MILANO
Per favorire il lavoro della rete di cui ai punti precedenti, e per superare l’approccio “emergenziale” (affidato dal governo al Prefetto di Milano quale “Commissario straordinario per l’emergenza Rom”) in direzione di politiche coordinate, il Consiglio Provinciale di Milano impegna la Giunta ad un lavoro secondo i seguenti indirizzi politici:

1. coordinamento e sostegno delle politiche degli enti locali – proponendo loro la firma di un “Protocollo d’intesa” (come già previsto in precedenza da questo stesso Consiglio Provinciale) in particolare in materia di abitazione, ma anche di politiche sociali complessive, in vista della costruzione del “Piano metropolitano di interventi di inclusione e di nuovi insediamenti”: Piano che deve essere proposto nei prossimi mesi dalla Giunta, per discuterlo con il Consiglio e poi con i comuni del territorio provinciale;

2. impegno a ricercare e attivare tutte le possibili fonti di finanziamento (dell’Unione Europea, statali, regionali) per sostenere le politiche a favore delle popolazioni Rom e Sinti. Il Consiglio impegna la Giunta a utilizzare al proposito anche il “Fondo per l’inclusione sociale” approvato con il Bilancio preventivo 2008;

3. ri-convocazione e ri-attivazione permanente, da parte dell’Assessorato alle politiche sociali, del “Tavolo programmatico” per le azioni in materia, con la presenza di rappresentanti dei comuni, dell’associazionismo del terzo settore e delle associazioni Rom e Sinti;

4. nell’ottica del “superamento dei campi” e della “riorganizzazione nel territorio milanese” (secondo quanto dichiarato dal Presidente Penati) – sostegno alla progettazione e alla realizzazione di soluzioni abitative diversificate, di esperienze di autocostruzione, di accesso all’abitazione (sociale e privata);

5. progetti di accompagnamento all’accesso dei servizi per l’impiego e per la Formazione Professionale. In particolare si impegna l’Agenzia per il Lavoro,l’Orientamento e la Formazione Professionale a svilupare uno studio per indirizzare i suoi servizi alla popolazione Rom e Sinti, per facilitare l’accesso agli stessi e sostenere percorsi di stabilizzazione ed emersione del lavoro sommerso;

6. supporto ai comuni della provincia affinché prevedano servizi di accompagnamento e facilitazione all’inserimento scolastico e alla stabilizzazione dei percorsi formativi per le bambine e i bambini Rom e Sinti – in particolare attraverso figure di sostegno e mediazione culturale e servizi di avvicinamento (servizio di trasporto scolastico e non solo);

7. impegno della Giunta, anche attraverso la costituenda “Casa della culture”, alla progettazione e realizzazione di interventi nei comuni e nei quartieri della città di Milano che siano indirizzati a sconfiggere il “rifiuto del contatto” e possano avvicinare popolazioni e individui differenti, per contribuire ad una colutra della convivenza.

8. impegno a denunciare e perseguire ogni forma di discriminazione e razzismo, assistendo il lavoro delle organizzazioni internazionali per la tutela dei diritti umani (e in particolare il lavoro dell’”European Roma Rights Centre”);

9. riattivazione della protezione civile per il sostegno a persone (anche Rom e Sinti) che si trovano in stato di particolare disagio abitativo o economico-sociale, anche per permettere l’emersione del fenomeno degli insediamenti abusivi evitando la spirale degli sgomberi inutili, dannosi e disumani.